Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

La verità e la bellezza della fede nell’oggi




"Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (Catechesi nell’Udienza generale dell’8 marzo 1967). Così Paolo VI.

Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il Beato Giovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792).
Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne anche l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.
Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all’interno dell’unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse deldepositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità.
Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, ai tempi del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono."

 BENEDICTUS PP. XVI  
Celebrazione per l'apertura dell'Anno della Fede 
11 ottobre 2012, omelia

13 commenti:

Remigio Renzi ha detto...

Io credo,vedendo la celebrazione di stamane, che il mandato di Mons. Guido Marini sia giunto ad un livello di saturazione. Ciò che ha potuto dare l'ha dato. Vogliamo il veronese come Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie!

Lorenzo Perosi, il vegetariano. ha detto...

Vedendo il color verde anguria della casula direi che siamo arrivati alla frutta.

Gugliem Hotel ha detto...

Bravo!

Anonimo ha detto...

Credo sia il caso che il prefetto delle Cerimonie venga spedito a fare il vescovo da qualche parte. Ora è il caso di fare monsignore Agostini nuovo prefetto.

Anonimo ha detto...

Non ho mai visto cose così orribili in vaticano....

Anonimo ha detto...

Ma...si guardano i parati...o si ascoltano le parole del S. Padre...Veronesi o Piemontesi o Genovesi che differenza ci stà!? E' vero che i Paramenti non erano un gran che...c'è stato di meglio ma...l'anno della fede e...la nostra fede sono più importanti...CREDO IN UNUM DEO !!!

Anonimo ha detto...

Basta. Mons. Marini Guido ha deluso. Dovrebbe fare il vescovo a La Spezia. Al suo posto io vedrei bene Didonna.

Anonimo ha detto...

Concordo con gli interventi precedenti. Guido Marini non convince più da molto tempo, trovo che il suo cerimonierato si distingua per un certa mediocrità, evidente nella scelta dei paramenti nuovi: moltissimi sono stati di cattivo, se non di pessimo gusto. Mentre almeno con Piero Marini avevamo sempre parato di grande pregio. Ultimamente vediamo cose degne di una saga di Walt Disney. E poi quante incoerenze, quante goffaggini, mi sembra come se un lavoratore della gleba volesse ospitare nel suo salotto la contessa di Polignac e le porgesse ossocollo come aperitivo.

Anonimo ha detto...

Perche' la Polignac non gradiva l'ossacoeo?

Anonimo ha detto...

perchè voi avete il potere di cambiare Marini? Prego...ma quanto siete ridicoli...pensate solo alle apparenze...parati ,stoffe, cerimoniali si cerimoniali no...ma chi siete voi! Povero Gesù Cristo ce vestiva di semplice tunica !!! Il decoro piace anche ame ( quello antico : Pianete piviali dalmatiche pizzi ecc ma.....non è tuttooo

Wolfango Amedeo Scamorza ha detto...

Smettiamola di spettegolare sulla carriera ecclesiastica dei prelati della corte pontificia! Siete 4 pettegole babbione!

Anonimo ha detto...

Vecchie in fresca!

Anonimo ha detto...

"Mentre con Piero Marini avevamo sempre parato di grande pregio".

Scusate, è già stato dato il Nobel della comicità per l'ultimo e per il prossimo cinquantennio?

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...